Le novità in materia di previdenza, contenute nella Legge di Bilancio 2022, non sono destinate a lasciare un grande segno nel mondo del lavoro italiano. La situazione contingente dell’economia, le incertezze scaturenti dalla pandemia e la variegata composizione delle posizioni sul tema presenti nella compagine governativa non lasciavano spazio a soluzioni diverse; pur attenendosi all’asettica osservazione tecnica delle novità introdotte, non si può però che definire conservativa l’azione che ha portato a queste modifiche. Attendersi interventi strutturali nella situazione attualmente esistente era realmente difficile. Ne consegue così una riedizione delle misure denominate come Quota 100, Opzione donna e Ape sociale. Con la circolare n. 1 del 4 gennaio 2022, Fondazione Studi dei Consulenti del lavoro, indaga tra i principali capitoli delle novità in materia pensionistica contenuti nella manovra per il 2022. La legge n. 234 del 30 dicembre 2021 ha dunque modificato molteplici forme di pensionamento anticipato presenti nel nostro ordinamento, senza tuttavia dare vita a una riforma organica e mantenendo così l’impianto della normativa Fornero. In particolare, viene analizzata la proroga dell’Ape sociale per un nuovo anno, con un ampliamento della platea dei suoi beneficiari e una nuova categorizzazione dei lavoratori addetti a mansioni gravose; Opzione donna viene estesa in riferimento alla data ultima di maturazione dei suoi requisiti anagrafici e contributivi e, infine, Quota 100, pur se non formalmente prorogata ulteriormente, viene affiancata per il solo 2022 da quota 102 che prevede un requisito anagrafico più severo di 64 anni di età. Tutti interventi conservativi ma, come detto, non stravolgenti l’attuale sistema. Le reali innovazioni contenute nella Legge di Bilancio sono due e riguardano entrambe la gestione aziendale. La prima è la proroga fino al 2024 del contratto di espansione con un ulteriore abbassamento a 50 unità lavorative del requisito dell’organico dei datori di lavoro ammessi al suo utilizzo. La seconda pone le basi per la costituzione di un fondo per il prepensionamento dei lavoratori nelle piccole e medie imprese, ma in questo caso si dovrà attendere un ulteriore decreto attuativo. Nella circolare di Fondazione studi, i Consulenti del lavoro analizzano requisiti, destinatari, decorrenza per il 2022 di tutte le misure, compreso il contratto di espansione e il Fondo prepensionamento Pmi. La circolare è reperibile sul sito www.consulentidellavoro.it.
Lavoro minorile e abbandono scolastico vanno di pari passo
Le economie più avanzate, Italia inclusa, non sono immuni dal fenomeno del lavoro minorile e dal rischio di condizionare negativamente le possibilità di formazione e di crescita professionale delle fasce più giovani della loro popolazione. Più di 500 i casi di illeciti riguardanti l’occupazione irregolare di bambini e adolescenti, sia italiani che stranieri, accertati tra 2018 e 2019 dall’Ispettorato del Lavoro, di cui la maggioranza nei servizi di alloggio e ristorazione; un dato in calo nel 2020 per effetto delle chiusure aziendali legate all’emergenza sanitaria (127 casi). Ed è proprio l’incognita del post-pandemia a imporre che si tenga alta l’attenzione sui fenomeni di irregolarità: il deterioramento delle condizioni economiche delle famiglie e l’incremento della casistica di disaffezione e allontanamento dai processi formativi potrebbe riportare in attivo la curva della crescita degli occupati sotto i 16 anni, come già rilevato da Fondazione Studi Consulenti del Lavoronell’indagine “Il lavoro minorile in Italia: caratteristiche e impatto sui percorsi formativi e occupazionali” presentata lo scorso giugno. Secondo le stime riportate nell’indagine, elaborate dai microdati delle Forze di lavoro dell’Istat, sono 2,4 milioni – il 10,7% del totale – gli attuali occupati italiani che hanno fatto esperienza di lavoro minorile, con evidenti ricadute sulle prospettive di vita. Infatti, chi inizia a lavorare prima dei 16 anni, nel 46,5% dei casi consegue al massimo la licenza media; solo l’11,2% del campione arriva alla laurea. In una catena consequenziale, incidendo sulla formazione, il lavoro minorile abbatte le possibilità di raggiungere i vertici della piramide professionale: solo il 17% arriva a svolgere una professione imprenditoriale, intellettuale o tecnica mentre si riscontra un valore quasi doppio (31,5%) tra quanti, al contrario, iniziano a lavorare più tardi. Tra questi, 7 su 10 sono uomini – più propensi, rispetto alle donne, ad abbandonare gli studi e maggiormente coinvolti nelle esigenze di sostentamento delle famiglie in condizioni economiche disagiate – e il 57,1% vive nelle regioni del Nord dove sono maggiori le opportunità occupazionali nel tessuto produttivo. Negli anni la quota dei lavoratori infra-sedicenni in Italia è diminuita grazie all’innalzamento dell’obbligo formativo e una maggiore attenzione al tema del lavoro minorile; nella fascia dei 55-64 anni la percentuale di quanti hanno iniziato a lavorare prima dei 16 anni è del 15,3% e crolla al 2,7% tra i 16-24enni.
Tredicesima mensilità ridotta per assenze
Solo coloro che hanno effettuato un intero anno di lavoro regolare, escludendo le assenze per malattia, infortunio, ferie ed ogni altro evento comunque retribuito, come ad esempio l’intervento degli ammortizzatori sociali, troveranno in busta paga la tredicesima equivalente a una mensilità lorda. Per i periodi di cassa integrazione a zero ore, però, non matura la tredicesima, per le riduzioni d’orario, invece, la mensilità aggiuntiva verrà riproporzionata. Inoltre, la natura delle assenze dal lavoro fa la differenza in fase di elaborazione della 13^, in quanto non tutte danno diritto alla sua maturazione. La 13^ costituisce una mensilità aggiuntiva rispetto alle 12 normalmente spettanti ai lavoratori in cambio della prestazione lavorativa, rientra nel concetto di retribuzione differita, in quanto viene in genere corrisposta in un momento successivo a quello di competenza cui la stessa si riferisce.Nella gestione della 13^ mensilità, la contrattazione collettiva riveste un ruolo fondamentale in quanto i contratti collettivi di lavoro disciplinano la retribuzione da prendere a riferimento, il computo, la mutazione, nonché il termine per la corresponsione. Il netto in busta paga però sarà certamente inferiore a quello di una normale mensilità in quanto sulla 13^ mensilità il lavoratore non ha diritto alle detrazioni per lavoro dipendente e per gli eventuali familiari a carico. Ma quali sono gli elementi che formano la base di calcolo della gratifica natalizia? Fanno sempre parte della retribuzione utile per il calcolo di questa mensilità: paga conglobata (ovvero paga base, ex indennità di contingenza EDR), scatti di anzianità, superminimi, indennità di mansione, premi collegati alla produzione o alle produttività (da calcolare sulla media annua), provvigioni (da conteggiare sulla media annua), indennità sostitutiva di mensa, indennità per maneggio denaro, cottimo (da conteggiare sull’ultimo mese, o trimestre, o sul guadagno medio delle due quindicine o delle ultime quattro settimane), altre eventuali voci retributive continuative previste dal contratto collettivo. Normalmente, invece, non vanno considerate le seguenti voci: lavoro straordinario, notturno e festivo effettuato saltuariamente, indennità per ferie non godute, premi o gratifiche definiti in cifra annua (anche se corrisposti con cadenza mensile o plurimensile), una tantum, rimborsi spese, indennità per lavori disagiati, nocivi e faticosi, indennità di vestiario. Tutte le info sulla guida edita da Fondazione studi dei Consulenti del Lavoro.
Il Reddito di libertà in aiuto alle donne vittime di violenza
Già 102 istanze pervenute all’Inps, di cui 97 liquidate, per il Reddito di libertà, la misura erogata dall’Istituto e mirata a contribuire all’autonomia economica delle vittime di violenza. La disposizione è stata introdotta a dicembre 2020 con l’obiettivo di creare uno strumento che potesse contenere i gravi effetti economici derivanti dall’emergenza Covid-19 e favorire, attraverso l’indipendenza economica, percorsi di autonomia ed emancipazione delle donne vittime di violenza e in condizione di povertà. La stessa, però, è stata pubblicata solo il 20 luglio 2021 in G.U e, infine, disciplinata per una prima applicazione con la circolare Inps n.166/21 dello scorso 8 novembre, a seguito di un lungo e articolato confronto tra gli enti coinvolti (Stato, Regioni e Comuni). Agli Stati Generali dei Consulenti del Lavoro, inaugurati il 25 novembre scorso al Palazzo dei Congressi di Roma nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, Maria Sciarrino – Direttore Centrale Inclusione e Invalidità civile dell’Inps – ha fatto un primo bilancio di questa misura. Il contributo, di importo pari a 400 euro al mese, concesso in un’unica soluzione e per un massimo di 12 mesi, è pensato per le donne residenti nel territorio italiano, vittime di violenza, senza figli o con figli minori, che siano prese in carico dai centri antiviolenza riconosciuti dalle Regioni oppure seguite dai servizi sociali nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza. “Con questa misura si contribuisce a sostenere l’autonomia abitativa delle vittime e il percorso scolastico e formativo dei loro figli”, ha dichiarato Sciarrino. “È importante che le vittime possano contare sul ruolo delle istituzioni per uscire dal silenzio e raggiungere quel livello di autonomia che consenta di lasciare il luogo in cui si è subita violenza”. La dirigente ha poi illustrato come accedere alla misura: ieri, infatti, l’Istituto ha reso disponibile sul proprio sito il nuovo modello di domanda, che deve essere inoltrato all’Inps, anche mediante un delegato come il Consulente del Lavoro, dal Comune di residenza della vittima, corredata di attestazione della condizione di bisogno rilasciata dai servizi sociali e di dichiarazione sul percorso di emancipazione intrapreso, rilasciata dal centro antiviolenza. “Il reddito di libertà può aiutare a favorire l’emancipazione delle donne, ancora oggi costrette a sopportare maltrattamenti, soprattutto in ambito familiare, cresciuti ancor di più con la pandemia”, ha dichiarato la Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, Marina Calderone, a latere dell’evento.
Più lavoro per combattere la violenza contro le donne
Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Istat sarebbero 6 milioni e 788 mila le donne tra i 16 ed i 70 anni che sono state vittime di fenomeni di violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita. Nell’azione di contrasto a questo fenomeno, multidimensionale e in costante evoluzione nel nostro Paese, la condizione lavorativa e l’indipendenza economica sono importanti nella misura in cui consentono alla donna di sfuggire a condizioni di subalternità psichica rispetto al partner o altri familiari, garantendole una maggiore realizzazione sotto il profilo personale e sociale e maggiori tutele e sicurezze. Se è vero che i contesti e le culture di provenienza, le condizioni sociali di vita ed i livelli di istruzione influenzano il livello di esposizione a possibili rischi, il riconoscimento di situazioni di pericolo e la stessa capacità di reazione e risposta, è il lavoro il fattore che, più di altri, può fare la differenza, in quanto elemento di integrazione fondamentale nel costituire quella rete di relazioni in grado di offrire aiuto a chi è vittima di atti violenti. Dal report della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, elaborato su dati Istat in occasione del 25 novembre 2021, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, emerge, infatti, che tra le donne inoccupate, ma in cerca di lavoro, ben il 5,8% sia stato vittima di violenza nell’ultimo anno (contro una media generale del 4,5%). Un dato che potrebbe essere peraltro fortemente sottodimensionato, considerato che proprio in corrispondenza di situazioni di disagio educativo ed economico si riscontra minore propensione alla denuncia degli episodi di violenza. Anche laddove la violenza si manifesti con maggiore gravità, come nel caso dello stupro o del tentato stupro, è più frequente che la vittima sia una donna non lavoratrice: il 9,2% delle donne in cerca di occupazione dichiara di aver subìto una violenza di questo tipo nel corso della propria vita contro il 5,4% della media generale. Come invertire, dunque, il trend? Una più elevata emancipazione professionale può indurre le donne verso una maggiore propensione alla denuncia, poiché le rende non solo economicamente più indipendenti, ma anche più consapevoli dei comportamenti maschili. “In quest’ottica la parità di genere intesa soprattutto come parità di accesso al lavoro, a posizioni professionali coerenti con i livelli formativi posseduti, a condizioni contrattuali adeguate, a pari livelli retributivi non è solo un diritto fondamentale, ma la condizione necessaria per contrastare i fenomeni di violenza”, ha dichiarato Marina Calderone, Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro. Il report è disponibile sul sito www.consulentidellavoro.it
Al via gli esoneri contributivi per assunzione di donne
E’ possibile procedere con le richieste di esonero totale dei contributi previdenziali, assistenziali e dei premi assicurativi da parte dei datori di lavoro che nel biennio 2021-2022 assumano donne con particolari requisiti, o trasformino in rapporti a tempo indeterminato i contratti a termine. Con il messaggio Inps n. 3809/21 si chiude finalmente il cerchio per l’adozione dell’esonero contributivo all’assunzione di donne svantaggiate previsto dalla legge di bilancio per il 2021. L’esonero contributivo è del 100% nel limite massimo di importo pari a 6.000 euro annui. Per i rapporti di lavoro a tempo parziale tale importo va ridotto in proporzione alle ore stabilite nel contratto di lavoro. Ai fini della determinazione della contribuzione agevolabile si deve fare riferimento a quella a carico del datore. Rientrano nell’agevolazione, fermo restando il limite massimo indicato, anche i contributi e premi dovuti all’Inail. Per guidare nell’applicazione pratica del bonus, Fondazione Studi dei Consulenti del lavoro ha redatto l’approfondimento dell’11 novembre 2021dal titolo “Guida all’esonero contributivo per l’assunzione di donne” nel quale si riassumono i requisiti soggettivi delle lavoratrici che possono aver diritto all’agevolazione, le tipologie contrattuali, la durata e la misura dell’esonero, le condizioni generali e quelle di eventuali cumuli con altri bonus. Il documento recepisce anche le indicazioni Inps per fornire un quadro delle procedure utili alla fruizione dell’esonero, sia rispetto alla comunicazione preventiva all’Istituto, sia sulle modalità di esposizione nel flusso Uniemens. L’autorizzazione all’esonero è stata concessa dalla Commissione Europea limitatamente al 2021, mentre per il 2022 occorrerà attendere una nuova autorizzazione della Commissione secondo la disciplina sugli aiuti di Stato. La riduzione spetta in relazione a donne considerate svantaggiate con i seguenti requisiti: età anagrafica di almeno 50 anni disoccupate da oltre 12 mesi; qualsiasi età, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi, residenti in regioni ammissibili ai finanziamenti nell’ambito dei fondi strutturali dell’Unione Europea; qualsiasi età, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi ovunque residenti in settore economico con disparità occupazionale di genere; qualsiasi età, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno 24 mesi, ovunque residenti. Info dai Consulenti del lavoro e guida agli esoneri sul sito www.consulentidellavoro.it.
Sospensione attività per occupazione irregolare con nuove regole
Diventano più stringenti le regole per l’applicazione del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale, disposto dall’Ispettorato nazionale del lavoro (INL) in ipotesi di occupazione di personale senza la preventiva comunicazione telematica al centro impiego e di violazioni in materia di sicurezza. Dopo l’introduzione del DL n.146/21, l’INL ha rilasciato le prime indicazioni con la circolare n.3/21 spiegando finalità, condizioni e ricorsi. L’adozione del provvedimento di sospensione si realizza quando l’INL riscontra che almeno il 10% dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro risulti occupato (al momento dell’accesso ispettivo) senza la preventiva comunicazione di inizio lavoro al centro impego (CO). Sono esclusi, quindi, da tale obbligo collaboratori familiari e soci. Rispetto alla precedente versione del D.Lgs n.81/08, la percentuale passa dal 20 al 10% e tra i lavoratori da conteggiare nella base di computo ci sono anche i collaboratori familiari e i soci lavoratori non amministratori. E’ escluso il provvedimento di sospensione in ipotesi di presenza di un unico lavoratore occupato e irregolare. Il provvedimento andrà adottato anche in ipotesi di accertate gravi violazioni in materia di salute e sicurezza anche non reiterate (es per mancanza: documento valutazione rischi, piano di emergenza ed evacuazione, costituzione del servizio di prevenzione e protezione e nomina del responsabile, ecc.). Gli effetti della sospensione, a discrezione degli ispettori, potranno essere fatti decorrere dalle ore 12 del giorno lavorativo seguente al riscontro o dalla cessazione dell’attività lavorativa in corso che non può essere interrotta, salvo che non si riscontrino situazioni di pericolo imminente, o di grave rischio per la salute dei lavoratori, o di terzi, o per la pubblica incolumità. In alternativa, l’adozione del provvedimento potrà riguardare l’attività prestata dai lavoratori interessati dalle violazioni riguardanti l’omessa formazione e addestramento e l’omessa fornitura di dispositivi di protezione individuale contro le cadute dall’alto. Per tali casi, quindi, il lavoratore non potrà prestare opera fino alla revoca del provvedimento, mantenendo la retribuzione. Per la revoca del provvedimento è indispensabile regolarizzare i lavoratori se del caso, o provvedere agli adempimenti mancanti in materia di salute e sicurezza, ripristinando le regolari condizioni di lavoro e pagando le sanzioni dovute. Info dai Consulenti del lavoro.
Credito d’imposta sanificazione, acquisto DPI e tamponi
Fondazione studi dei Consulenti del lavoro, con la circolare n.16/21 spiega come fruire del credito d’imposta introdotto, al fine di contrastare la diffusione dell’epidemia da Covid-19, dal D.L. n. 73/21. Il credito d’imposta è pari al 30% delle spese sostenute nei mesi di giugno, luglio e agosto 2021 per la sanificazione degli ambienti e degli strumenti utilizzati e per l’acquisto di dispositivi di protezione individuale e di altri dispositivi atti a garantire la salute dei lavoratori e degli utenti, comprese le spese per la somministrazione di tamponi per Covid-19. Dette spese devono essere sostenute da “soggetti esercenti attività d’impresa, arti e professioni, enti non commerciali, compresi gli enti del Terzo settore e gli enti religiosi civilmente riconosciuti, nonché alle strutture ricettive extra-alberghiere a carattere non imprenditoriale munite di codice identificativo regionale ovvero, in mancanza, identificate mediante autocertificazione in merito allo svolgimento dell’attività ricettiva di bed and breakfast”.Il credito d’imposta spetta fino ad un massimo di 60.000 euro per ciascun beneficiario. Vendono individuate tre categorie di spese: quelle sostenute per la sanificazione degli ambienti nei quali è esercitata l’attività lavorativa e istituzionale, o per la sanificazione degli strumenti utilizzati nell’ambito di tali attività; la somministrazione di tamponi a coloro che prestano la propria opera nell’ambito delle attività lavorative e istituzionali; quelle sostenute per l’acquisto di:
dispositivi di protezione individuale, quali mascherine, guanti, visiere e occhiali protettivi, tute di protezione e calzari, che siano conformi ai requisiti essenziali di sicurezza previsti dalla normativa europea; prodotti detergenti e disinfettanti; dispositivi di sicurezza diversi da quelli precedenti, quali termometri, termoscanner, tappeti e vaschette decontaminanti e igienizzanti, che siano conformi ai requisiti essenziali di sicurezza previsti dalla normativa europea, ivi incluse le eventuali spese di installazione; dispostivi atti a garantire la distanza di sicurezza interpersonale, quali barriere e pannelli protettivi, ivi incluse le eventuali spese di installazione. La circolare dei Consulenti del lavoro è reperibile sul sito www.consulentidellavoro.it.
RdC e Assegno temporaneo: nessuna domanda per l’integrazione
Ai nuclei familiari beneficiari del Reddito di Cittadinanza (RdC), che non abbiano diritto all’assegno per il nucleo familiare (ANF), viene riconosciuto d’ufficio l’assegno temporaneo senza necessita di presentare domanda. Con il messaggio n. 3669/21 l’Inps fornisce le indicazioni riguardo l’integrazione al RdC dell’Assegno temporaneo e i termini di erogazione. L’Istituto effettua la verifica sul carico fiscale dei minori presenti nel nucleo, sulla base dei dati dichiarati nella DSU di riferimento e di quelli a disposizione negli altri archivi dell’Inps, procedendo alla decadenza dall’integrazione RdC qualora il requisito venga meno in corso di godimento dell’Assegno. L’integrazione è corrisposta mensilmente ed è determinata sottraendo all’importo teorico dell’Assegno temporaneo – stabilito sulla base del numero di figli minori a carico e del valore dell’indicatore ISEE del nucleo – la quota di RdC relativa ai figli minori, calcolata sulla base della scala di equivalenza. L’INPS è tenuto a riconoscere, congiuntamente e con le modalità di erogazione del RdC, una quota supplementare di beneficio economico riferita all’Assegno temporaneo (integrazione RdC). I requisiti relativi alla residenza e al soggiorno previsti per l’Assegno temporaneo risultano assorbiti dai requisiti più restrittivi previsti per il RdC per i quali la legge prevede controlli specifici. Il requisito relativo alla soggezione al pagamento dell’imposta sul reddito in Italia risulta già verificato, in quanto i beneficiari di RdC sono tenuti al possesso della residenza in Italia e, pertanto, sono sottoposti al pagamento dell’IRPEF in Italia. In caso di nuclei familiari in cui la DSU in corso di validità, utile ai fini della liquidazione del RdC, sia presentata da soggetti diversi dai genitori legittimi o naturali (ad esempio, dichiarazione presentata da ascendenti o collaterali, quali nonno, zio, fratello del minore, ecc.), nei quali i minori presenti nel nucleo non sono indicati in DSU con il tipo rapporto “F”, l’integrazione RdC spetta quando sussiste, in assenza dei genitori nel nucleo ai fini ISEE, l’esistenza di un valido provvedimento di affido di uno o più figli minori presenti nel nucleo in capo al dichiarante diverso dal genitore. Gli esiti delle integrazioni saranno consultabili sul dell’Istituto nell’ambito della procedura “Reddito di Cittadinanza / Pensione di Cittadinanza” nella sezione “Lista domande ed esiti”. Le informazioni sono reperibili presso i Consulenti del lavoro.
Indennità Covid Sostegni bis: gestione riesami
E’ possibile richiedere la revisione delle domande respinte per non aver superato i controlli dei requisiti per le indennità Covid-19 previste dal decreto Sostegni-bis in favore di alcune categorie di lavoratori impattate dall’emergenza epidemiologica da Covid-19. Con il messaggio n. 3530/21 l’Inps fornisce indicazioni riguardo la gestione delle istruttorie. Sono coinvolti per l’indennità da 1.600 euro i lavoratori dipendenti stagionali dei settori del turismo e degli stabilimenti termali e settori diversi; in somministrazione dei settori del turismo e degli stabilimenti termali e settori diversi; lavoratori intermittenti; lavoratori autonomi occasionali; lavoratori incaricati alle vendite a domicilio; lavoratori a tempo determinato dei settori del turismo e degli stabilimenti termali; lavoratori dello spettacolo. Il dl n.73/21, prevede la concessione di un’indennità una tantum pari a 800 euro per i lavoratori agricoli a tempo determinato con almeno 50 giornate effettive di lavoro agricolo nel 2020 e un’indennità una tantum pari a 950 euro in favore dei pescatori autonomi, compresi i soci di cooperative. Per i lavoratori stagionali, somministrati e a tempo determinato dei settori del turismo e degli stabilimenti termali e per i lavoratori dello spettacolo, va verificato il requisito dell’assenza di titolarità di un rapporto di lavoro al 27.5.21. Per i lavoratori stagionali e somministrati presso settori diversi da quelli del turismo e degli stabilimenti termali, lavoratori intermittenti, autonomi occasionali, lavoratori incaricati alle vendite a domicilio, va verificato il requisito dell’assenza di titolarità di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato alla data di presentazione della domanda, con esclusione del contratto di lavoro di tipo intermittente (senza indennità di disponibilità). Per i lavoratori autonomi occorre verificare il requisito dell’assenza di un contratto di lavoro autonomo occasionale al 27.5.21. Il termine per proporre il riesame è di 20 giorni, decorrenti dal 18 ottobre. In caso di domande respinte successivamente, i 20 giorni decorrono dalla data della comunicazione di diniego. L’utente può inviare la documentazione attraverso il link “Esiti” nella stessa sezione del sito Inps in cui è stata presentata la domanda “Indennità COVID-19 (Decreto Sostegni Bis 2021)”, per il tramite dell’apposita funzionalità che provvede a esporre i motivi di reiezione e consente di allegare i documenti richiesti per il riesame. Info dai Consulenti del lavoro.
Possibile delegare l’utilizzo dei servizi web Inps
A partire dal 1° ottobre 2021 i cittadini che hanno difficoltà ad utilizzare i servizi web Inps possono delegare una persona di loro fiducia e revocare una delega già registrata. Continua il processo di dismissione del PIN Inps con la delega per l’identità digitale per i privati. Così, se dal prossimo 1° settembre intermediari, aziende, associazioni di categoria, PA e professionisti potranno accedere ai servizi dell’Istituto solo tramite SPID, CIE o CNS, l’Inps ha aperto alla possibilità per il cittadino che sia impossibilitato ad utilizzare in autonomia i servizi online di delegare un’altra persona di sua fiducia all’esercizio dei propri diritti nei confronti dell’Istituto. Ad annunciarlo è l’Inps con la circolare n.127/21 in base alla quale è già possibile presentare le istanze. La delega dell’identità digitale è anche lo strumento attraverso il quale i tutori, i curatori, gli amministratori di sostegno e gli esercenti la potestà genitoriale possono esercitare i diritti dei rispettivi soggetti rappresentati e dei minori. Poiché i PIN Inps sono stati disattivati dal 30 settembre scorso, al fine di continuare ad esercitare il proprio ruolo nei riguardi dei soggetti tutelati, i tutori, i curatori e gli amministratori di sostegno e gli esercenti la potestà genitoriale dovranno richiedere la registrazione di una delega per tutti i soggetti rappresentati che hanno bisogno di interagire con l’Istituto. La richiesta può essere effettuata direttamente dal delegante presso una qualsiasi Struttura territoriale dell’Inps esibendo la documentazione indicata nella circolare e relativa alle diverse casistiche: per tutori, curatori e amministratori di sostegno; per gli esercenti la potestà genitoriale per conto del minore; per le persone allettate per lunga durata, ricoverate o impossibilitate a recarsi presso gli sportelli dell’Istituto a causa di patologie, che possono richiedere la registrazione della delega anche attraverso il delegato. I Modelli AA08, AA09 e AA10 sono scaricabili dal sito Inps. Con il messaggio n.3305/21 l’Inps comunica che il delegante potrebbe anche delegare accedendo al servizio “MyInps”, sezione “Deleghe Identità Digitali”. Ricordiamo che dal 1° ottobre 2021 non è più possibile accedere ai servizi online Inps con il PIN, con la sola eccezione dei residenti all’estero non in possesso di un documento di riconoscimento italiano e, temporaneamente, degli intermediari abilitati (es. Consulenti del lavoro).
Voto amministrative, come retribuire i lavoratori presenti ai seggi
Dalla corretta valorizzazione delle retribuzioni ai documenti necessari per giustificare le assenze dei lavoratori impiegati ai seggi. In vista dell’elaborazione dei compensi per gli scrutinatori dipendenti delle aziende, arriva il vademecum di Fondazione Studi Consulenti del lavoro dal titolo “Permessi per le funzioni elettorali. Le regole per datori e lavoratori”. In formato e-book, aggiornato a settembre 2011, la guida pratica condensa al suo interno le regole e gli esempi pratici degli adempimenti necessari. Si parte dai documenti autorizzativi fino al calcolo delle competenze. «I lavoratori chiamati al seggio devono anzitutto consegnare al datore di lavoro il certificato di chiamata e successivamente esibire la copia firmata dal Presiedente di seggio, con l’indicazione delle giornate di effettiva presenza al seggio e l’orario di inizio e chiusura delle operazioni – specifica Rosario De Luca, Presidente di Fondazione Studi Consulenti del lavoro. Tale documentazione viene poi vistata dal presidente di seggio». Anche se l’attività prestata per lo svolgimento delle operazioni elettorali copre una sola parte della giornata, l’assenza è legittimata per tutto il giorno lavorativo che, quindi, deve essere retribuito interamente. I giorni festivi e quelli non lavorativi (ad esempio il sabato nella settimana corta), sono compensati con quote giornaliere di retribuzione in aggiunta alla retribuzione normalmente percepita o, in alternativa, recuperati con una giornata di riposo compensativo. Sul punto, spiegano i Consulenti del lavoro, la legge non precisa le modalità di scelta tra riposo compensativo e retribuzione. Il lavoratore ha poi diritto al recupero delle giornate festive o non lavorative destinate alle operazioni elettorali subito dopo la chiusura della tornata elettorale e la rinuncia deve essere validamente accettata dal lavoratore. Sul fronte del calcolo delle competenze, si spiega nella guida pratica, esso varia in relazione al regime di paga adottato per il rapporto di lavoro in corso fra le parti, a seconda che la retribuzione sia fissa mensile o commisurate alle ore di lavoro prestate. In ogni caso, i compensi corrisposti ai lavoratori per le giornate di partecipazione ai seggi sono assoggettati sia a contribuzione previdenziale piena sia a prelievo fiscale. Tutte le informazioni sono reperibili presso i Consulenti del lavoro.
La bussola per il Green pass nei luoghi di lavoro
Cosa cambia nell’accesso ai luoghi di lavoro? Chi dovrà gestire il controllo delle certificazioni verdi? Quali sono gli atti da compiere per non rischiare sanzioni? Il quadro delle misure contenute nel decreto legge n. 127/21 si arricchisce di osservazioni e questioni applicative nel recenteapprofondimento di Fondazioni Studidei Consulenti del lavoro dal titolo “La bussola per il Green pass nei luoghi di lavoro”. L’analisi di dettaglio delle disposizioni del Governo, sintetizzate e schematizzate, è finalizzata a sottolineare le ricadute nella prassi quotidiana delle imprese e ad evidenziare quelle zone d’ombra ancora presenti nella norma licenziata dall’esecutivo: dai controlli sugli autonomi ai profili inerenti la privacy del lavoratore. Le misure entrano in vigore dal 15 ottobre e sono dichiarate efficaci fino al 31 dicembre 2021, data dell’attuale termine di cessazione dello stato di emergenza. L’introduzione dei nuovi obblighi interessa sia il settore pubblico, sia quello privato, è destinata alla prevenzione della diffusione dell’infezione da SARS-CoV-2 e riguarda tutti i luoghi di lavoro e il personale che vi accede, a prescindere dalla tipologia del rapporto di lavoro svolto. Le violazioni fanno scattare sanzioni a carico dei datori di lavoro che omettano i controlli prescritti, ma anche in capo ai lavoratori che dovessero violare le prescrizioni datoriali, da formalizzare entro il 15 ottobre 2021. È obbligato chiunque svolga una attività lavorativa, ai fini dell’accesso nei luoghi in cui la predetta attività è posta in essere. Non sono inclusi tra gli obbligati i soggetti esenti dalla campagna vaccinale sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti con circolare del Ministero della Salute. Saranno i datori di lavoro a dover verificare il rispetto delle prescrizioni obbligatorie, onere che incombe contemporaneamente anche sui datori dei soggetti esterni (es. appalto). A tal fine i datori sono chiamati a individuare proprie modalità operative per l’organizzazione delle premesse verifiche, che possono avvenire anche a campione, operando preferibilmente i controlli al momento dell’accesso ai luoghi di lavoro e individuando con atto formale i soggetti incaricati dell’accertamento e della contestazione delle violazioni degli obblighi di possesso ed esibizione del Green pass. Tutte le info sono reperibili presso i Consulenti del lavoro.
Bonus Irpef: incremento in busta su agosto e settembre è una fake news
Nessun nuovo bonus Irpef con le buste paga di agosto. Le regole per la fruizione delle detrazioni fiscali di lavoro dipendente e del bonus Irpef non sono cambiate rispetto agli anni precedenti. L’erogazione avviene di regola durante l’anno di maturazione con le buste paga mensili e il datore di lavoro è obbligato ad effettuarle. Una precisazione che diventa importante dopo le fuorvianti fake news che, complice l’effetto virale dei social, stanno circolando in rete. Secondo tali notizie, peraltro attribuite a un’importante organizzazione sindacale, i lavoratori dipendenti, ma anche i pensionati, potranno trovarsi una bella sorpresa: con le buste paga di agosto e settembre, infatti, otterranno un salario più ricco e succoso con il bonus Irpef di quest’anno. Ma da dove arriverebbe questo rimborso? Secondo l’informativa sindacale, si tratterebbe del rimborso delle detrazioni Irpef che potrà essere ricevuto da tutti i dipendenti e per legge non potrà essere inferiore a 690 euro, ma l’importo massimo previsto per quest’anno è pari a 1880 euro. Per i lavoratori a termine, il rimborso sarebbe di importo non inferiore a 1380 euro. Ad aumentare la confusione, l’attribuzione della paternità di questo rimborso, che sarebbe frutto di un fantomatico bonus Draghi, evidentemente inesistente, visto che l’esecutivo in carica dal mese di febbraio scorso non ha introdotto alcun bonus Irpef relativo alle detrazioni né, tantomeno, effettuato interventi sulle detrazioni di lavoro dipendente. «Una comunicazione fuorviante e assolutamente inopportuna – afferma Rosario De Luca, Presidente della Fondazione Studi Cdl – visto l’effetto sulla platea dei destinatari e la difficoltà economica in cui versa una larghissima parte della popolazione». Gli importi di cui si parla nell’informativa sono dettati semplicemente dalle detrazioni fiscali e di lavoro dipendente. A questo punto, è opportuno ricordare che, da decenni (la riforma tributaria è del 1973), le detrazioni fiscali di lavoro dipendente vengono direttamente calcolate dal datore di lavoro nelle buste paga mensili, per cui nessun rimborso Irpef è previsto nel mese di agosto dell’anno successivo a quello di maturazione. L’ipotesi di un rimborso, peraltro d’importo limitato, potrebbe derivare da un Modello 730 presentato dal lavoratore, ma in tal caso riguarderebbe un conguaglio tra quanto calcolato durante l’anno e quanto effettivamente spettante a fine anno.
Consulenti del lavoro asseveratori di conformità dei rapporti di lavoro
Altri due tasselli si aggiungono alla diffusione della certificazione Asse.Co. Recentemente il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del lavoro (CNO), infatti, ha siglato un Protocollo biennale con il Comune di Carrara (società in house Nausicaa Spa) ed anche conil Comune di Pescara per l’asseverazione di conformità dei rapporti di lavoro. Con l’obiettivo di valorizzare la certificazione della regolarità retributiva e contributiva delle aziende sul territorio, ambedue i Comuni si impegneranno, nell’ambito delle procedure di scelta per l’aggiudicazione dei contratti, ad utilizzare un sistema premiante per le aziende che presentino l’asseverazione retributiva e contributiva, per esempio in caso di parità di punteggio nell’ambito della valutazione dell’offerta tecnica. Tra gli impegni dell’amministrazione di Pescara, inoltre, quello di considerare la possibilità di istituire un sistema di finanziamento alle imprese che abbiano ottenuto la certificazione. I Consulenti del lavoro (Cdl), con la procedura Asse.Co. procedono spediti oltre la diffusione della cultura della legalità e della semplificazione degli adempimenti. Il sistema di asseverazione conformità dei rapporti di lavoro (Asse.Co.), infatti, consiste in un procedimento on line di accreditamento dei Cdl che vogliono qualificarsi come asseveratori e intraprendere la procedura di asseverazione delle imprese che lo richiedano. Il sistema consente alle imprese certificate Asse.Co. di ottenere una serie di vantaggi come, per esempio, quello di non essere inserite nella programmazione delle verifiche ispettive organizzate dagli Ispettorati del lavoro (salvo specifica richiesta di intervento o indagini particolari). Questi due nuovi Protocolli fanno seguito a numerosi altri siglati nel 2018 e nel 2019: Provincia autonoma di Trento, Regione Emilia-Romagna, Comune di Genova, Comune di Villa San Giovanni (RC) per divulgare i vantaggi dell’Asse.Co. Tale certificazione potrebbe consentire alle imprese in regola con i requisiti minimi richiesti per l’iscrizione all’elenco di merito di ottenere un punteggio massimo e di accedere alla concessione di finanziamenti da parte delle pubbliche amministrazioni e al credito bancario. Asse.Co. sarà rilasciata dal CNO su istanza volontaria del datore di lavoro, sulla base di due dichiarazioni di responsabilità: una del datore sulla non commissione di illeciti nell’anno precedente l’istanza (lavoro minorile, tempi di lavoro, sicurezza sul lavoro, lavoro nero); l’altra del Cdl sulla sussistenza dei requisiti per il rilascio del Durc e sul rispetto della contrattazione collettiva.
Decreto Sostegni bis diventa legge
Pubblicata in GU la legge n.106/21, di conversione, con modificazioni, del Dl n.73/21 recante “Misure urgenti connesse all’emergenza da COVID -19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali.” Il provvedimento, in vigore dallo scorso 25 luglio, prende avvio con la nuova tranche di finanziamenti per i contributi a fondo perduto. Non cambiano i requisiti, ma viene ampliata la platea dei beneficiari, vale a dire imprese e partite Iva con fatturato fino a 15 milioni di euro nel 2019. Sono previste poi specifiche aliquote, 20% e 30% da applicare alla perdita media mensile di fatturato per stabilire l’indennizzo. Per le attività economiche chiuse per almeno quattro mesi dal 1° gennaio alla data di conversione del decreto, viene istituito un fondo di sostegno con una dotazione di 100 milioni di euro. Un’altra consistente novità riguarda il capitolo dedicato ai settori del wedding, intrattenimento e dell’organizzazione di feste e cerimonie e del settore dell’Hotellerie-Restaurant-Catering (HORECA) per i quali vengono erogati contributi a fondo perduto per un importo massimo di 60 milioni di euro nel corso del 2021. Un incremento di 60 milioni riguarda anche il Fondo straordinario per il sostegno degli enti del Terzo settore. Alcune conferme per il rinvio delle cartelle fiscali: la riscossione da parte dell’Agenzia delle Entrate riprenderà il 1° giugno 2021, il versamento dell’IRAP slitterà invece al prossimo 30 settembre. Confermati i bonus per i lavoratori stagionali, turismo e settore agricolo e lo stop al cashback. Il reddito d’emergenza verrà esteso per altre 4 mensilità da giugno a settembre 2021 secondo i requisiti già previsti dal primo decreto. Sul fronte lavoro, inoltre, si estende il reddito di ultima istanza anche ai lavoratori autonomi e ai liberi professionisti con disabilità; così come viene introdotto, in via sperimentale, dal 1° luglio al 31 ottobre 2021, il contratto di rioccupazione e potenziato il contratto di espansione. Novità per i contratti di lavoro a tempo determinato: si consente, fino al 30 settembre 2022, di stipulare contratti di durata superiore a 12 mesi e comunque non eccedente i 24 mesi anche per le specifiche esigenze previste dai contratti collettivi di qualunque livello. Infine, previsto un nuovo e ulteriore periodo di CIGS per le imprese in particolari situazioni di crisi. Info dai Consulenti del lavoro.
Congedo 2021 per genitori, fruizione a ore
L’Inps emana le istruzioni per fruire del Congedo 2021 per genitori con figli affetti da SARS CoV-2, in quarantena da contatto o con attività didattica in presenza sospesa per la cura dei figli conviventi minori di anni 14, per un periodo corrispondente, in tutto o in parte, alla durata dell’infezione da SARS CoV-2, alla durata della quarantena da contatto del figlio, ovunque avvenuto, nonché alla durata del periodo di sospensione dell’attività didattica in presenza. Il provvedimento recepisce le modifiche apportate alla disciplina dalla legge n. 61/21, di conversione in legge del D.L. n. 30/21 nella disciplina che regola il congedo indennizzato per la cura dei figli nel caso di infezione da Sars Cov-2, di quarantena da contatto, nonché per la durata del periodo di sospensione dell’attività didattica in presenza o di chiusura dei centri assistenziali diurni. Ferme le regole e le misure dell’indennizzo previste dal decreto, l’Istituto specifica che la fruizione del congedo in modalità oraria può essere richiesto solo dal 13 maggio, anche se le domande possono essere riferite a periodi antecedenti alla data di fruizione (purché le istanze siano relative a periodi compresi tra il 13 maggio e il 30 giugno 2021). La circolare riepiloga, inoltre, le compatibilità del congedo in modalità oraria con altre forme di sostegno e in relazione alle richieste avanzate dall’altro genitore nonché le modalità di presentazione della domanda. Il congedo rimane comunque indennizzato su base giornaliera, anche nel caso in cui la fruizione avvenga in modalità oraria. Il “Congedo 2021 per genitori” in modalità oraria può essere fruito da entrambi i genitori purché la fruizione avvenga in maniera alternata. La fruizione oraria del congedo è incompatibile con la fruizione, nello stesso giorno, del congedo con modalità giornaliera da parte dell’altro genitore convivente con il minore. La contemporanea fruizione del congedo da parte dei due genitori, nello stesso arco temporale, è invece possibile nel caso in cui il congedo, giornaliero o orario, sia goduto per figli diversi di cui uno con disabilità grave. Sono invece compatibili due richieste di congedo in modalità oraria nello stesso giorno da parte dei due genitori, purché le ore di fruizione all’interno della stessa giornata non si sovrappongano. La contemporanea fruizione da parte dei due genitori è possibile anche in caso di sovrapposizione delle ore nella stessa giornata, solo nel caso in cui il congedo sia goduto per figli diversi di cui uno con disabilità grave. Info dai Consulenti del lavoro.
Contratto di lavoro post-tirocinio più accessibile con enti specializzati
Tasso di occupabilità oltre la media per i tirocini attivati da Fondazione Lavoro, l’agenzia per il lavoro del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro: quasi sei tirocinanti su dieci (il 59,4%) ottengono un’opportunità di lavoro nei sei mesi successivi alla fine del tirocinio. Nove punti percentuali in più rispetto alla media degli altri soggetti promotori, che si ferma al 50,7 per cento.
La conferma del trend positivo fatto registrare da Fondazione Lavoro arriva dalla quinta indagine “Le performance degli enti promotori di tirocini in Italia”, maturata dalla collaborazione tra il CNO e il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali nell’ambito del “Protocollo tecnico di collaborazione per attività di ricerca e sperimentazione sulle dinamiche occupazionali dei tirocini promossi da Fondazione Lavoro”. Un risultato che supera lo standard anche rispetto alla tipologia di contratti sottoscritti dai tirocinanti. A livello generale, infatti, su 1.492.838 tirocini conclusi da gennaio 2014 a giugno 2020 – i sei anni e mezzo oggetto d’indagine – sono 756.464 le unità che hanno firmato un contratto post-tirocinio; di questi, circa la metà ha ottenuto un contratto a carattere permanente (il 16,4% a tempo indeterminato e il 33,9% in apprendistato) e il 41,2% ha avuto come primo esito occupazionale un contratto a termine. Sorte diversa nel caso in cui l’ente promotore sia stato Fondazione Lavoro: i contratti a carattere permanente sono il 55,3% del totale.
A conferma degli altri indicatori, l’indagine evidenzia che l’effetto “ente promotore” può influenzare le probabilità di successo del tirocinio anche nelle regioni con domanda di lavoro più debole: i tirocini promossi da Fondazione Lavoro hanno probabilità di successo superiori alla media nazionale in quasi tutte le regioni, con punte di eccellenza in Calabria, dove il tasso è doppio rispetto alla media regionale (53,9%). «I dati – afferma Vincenzo Silvestri, Presidente della Fondazione Consulenti per il Lavoro – confermano che i tirocini promossi dalla Fondazione Lavoro si avvalgono della conoscenza delle reali esigenze aziendali, propria dei Consulenti del Lavoro, che permette l’inserimento in percorsi professionali mirati. La peculiarità della Fondazione Lavoro sta nel non rispondere unicamente a rigide regole di mercato ma nel fondare tutto sulla relazione tra consulente e azienda, che si riflette sul successo delle attività. Lavoriamo su un avvicinamento del tirocinante al datore di lavoro, un soggetto che, alla fine del periodo di tirocinio, difficilmente si priverà di una risorsa di cui ha bisogno e che ha contribuito a formare».
Italia maglia nera in Europa nell’abbandono prematuro degli studi
La disaffezione verso i processi formativi e la crescita della povertà familiare rischiano di lasciare campo libero all’aumento del lavoro minorile in Italia nel post pandemia e alla creazione di una platea di lavoratori senza le necessarie competenze per scalare la piramide professionale. A sollevare il velo sul fenomeno è la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro nell’indagine “Il lavoro minorile in Italia: caratteristiche e impatto sui percorsi formativi e occupazionali”, realizzata dal proprio Ufficio Studi in occasione della “Giornata mondiale contro il lavoro minorile” del 12 giugno 2021. Malgrado una curva tendenziale positiva nel contrasto al fenomeno – complice il rafforzamento della normativa e la maggiore attenzione all’abbandono scolastico – l’Italia è maglia nera nel panorama europeo per la quota di giovani dai 18 ai 24 anni che hanno lasciato prematuramente gli studi (9,9%), assieme alla Spagna. Soprattutto nel Mezzogiorno, con punte in Sicilia e Campania rispettivamente del 19,4% e 17,3%. Tra gli attuali occupati in Italia con età compresa tra 16 e 64 anni, si legge nell’indagine, circa 2,4 milioni hanno svolto un qualche tipo di attività lavorativa prima del sedicesimo compleanno. Un fenomeno di irregolarità che si conferma ancora diffuso tra i giovani e penalizza le prospettive di formazione e lavoro: nel 2020, erano oltre 230mila, su 4,9 milioni di occupati con meno di 35 anni, a dichiarare di aver ricevuto una retribuzione già prima dei 16 anni. Secondo le stime, elaborate dai micro dati dell’indagine Forze di lavoro dell’Istat, sono evidenti le ricadute del lavoro minorile sulle prospettive di vita dei giovani coinvolti: chi inizia a lavorare prima dei 16 anni nel 46,5% dei casi consegue al massimo la licenza media; solo l’11,2% del campione arriva alla laurea. Diversamente, tra chi entra nel mondo del lavoro in età legale, sono solo 18 su 100 coloro che si fermano alla scuola media inferiore mentre la percentuale dei laureati sale al 27,3%. «La riduzione del fenomeno del lavoro minorile tra le fasce di popolazione più giovani non deve distrarci dal rischio che le trasformazioni in corso nel mondo del lavoro e della società, determinate dall’emergenza sanitaria, invertano la rotta – afferma Rosario De Luca, presidente di Fondazione Studi Consulenti del Lavoro –. I dati confermano, ancora una volta, che l’investimento in formazione e competenze è vincente in una prospettiva che guarda alle opportunità future, dei singoli e del Sistema Paese».
Contratto di rioccupazione, esoneri dal 1° luglio
Stipulare un contratto di rioccupazione a tempo indeterminato dal 1° luglio prossimo, darà diritto ad un esonero contributivo.
Il nuovo decreto Sostegni–bis introduce il “Contratto di rioccupazione”, destinato a incentivare l’inserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori disoccupati che hanno reso la dichiarazione di immediata disponibilità. Il nucleo essenziale di questo piano di rioccupazione post pandemica è rappresentato dal “progetto individuale di inserimento”, che rappresenta una condizione essenziale per stipulare il contratto, ed è finalizzato a garantire l’adeguamento delle competenze professionali del lavoratore al nuovo contesto lavorativo. La misura è dichiaratamente di carattere eccezionale e il suo ricorso è limitato al periodo che va dal 1° luglio al 31 ottobre 2021. La fase formativa ha una durata di 6 mesi, al termine dei quali le parti possono recedere anche senza specificare il motivo, con la sola concessione del preavviso, decorrente dalla fine del semestre formativo. La stipula di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato di questo tipo, dà diritto a tutti i lavoratori privati (escluso il settore agricolo e il lavoro domestico) all’esonero dal versamento del 100% dei complessivi contributi previdenziali a loro carico, con esclusione dei premi Inail, per un periodo massimo di 6 mesi e nel limite massimo di 6.000 euro su base annua, riparametrato su base mensile. Per la fruizione dell’esonero contributivo i datori interessati, nei 6 mesi precedenti l’assunzione, non devono aver effettuato licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo, o licenziamenti collettivi nella medesima unità produttiva. L’esonero verrà revocato e la fruizione recuperata, se il datore procede al licenziamento durante, o al termine del periodo di inserimento, o al licenziamento collettivo, o individuale per giustificato motivo oggettivo di un lavoratore impiegato nella medesima unità produttiva e inquadrato con lo stesso livello e categoria del lavoratore assunto con l’esonero, effettuato nei 6 mesi successivi alla predetta assunzione. Ai fini del computo del periodo residuo utile alla fruizione dell’esonero, la revoca non ha effetti nei confronti degli altri datori di lavoro privati che assumono il lavoratore ai sensi del presente articolo. In caso di dimissioni del lavoratore il beneficio viene riconosciuto per il periodo di effettiva durata del rapporto. Si attendono ora le decisioni della CE e le istruzioni INPS. Tutte le info sono contenute nella circolare di Fondazione studi Consulenti del lavoro n.8 del 31 maggio scorso.
Vaccini in azienda, i Consulenti del lavoro emanano la guida rapida
Nella “Guida rapida alle vaccinazioni in azienda”, Fondazione Studi Consulenti del Lavoro (approfondimento del 21 maggio 2021) indica compiti, responsabilità, procedure e costi necessari per i vaccini in azienda. La guida mette a sistema le regole contenute nel Protocollo nazionale del 6 aprile e nel Documento di indirizzo emesso dal Garante per la protezione di dati personali il 13 maggio. Si tratta di uno strumento di interesse diffuso, anticipato durante il Forum dei Consulenti del lavoro sulla Sicurezza del Lavoro del 20 maggio, che guida dentro alle disposizioni e rimarca alcuni elementi cardine in materia: la qualificazione delle attività per l’attivazione di punti vaccinali in azienda all’interno di un più ampio obiettivo di sicurezza degli ambienti di lavoro; la volontarietà dell’adesione da parte dei lavoratori alla campagna vaccinale, (in mancanza, a legislazione vigente, di una norma sull’obbligatorietà, non tassativa); la “relativa” vincolatività delle indicazioni del Garante Privacy che, più volte, fa precedere le sue indicazioni dalla locuzione “per quanto possibile”, consentendo una flessibilità oggettiva rispetto ai princìpi esposti. L’impegno delle aziende e dei datori alla vaccinazione dei lavoratori costituisce un’attività di sanità pubblica che si colloca nell’ambito del Piano strategico nazionale per la vaccinazione anti-SARS-CoV-2/Covid-19 predisposto dal Commissario Straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica. La vaccinazione dei lavoratori in azienda realizza il duplice obiettivo di concorrere, accelerare ed implementare a livello territoriale la capacità vaccinale e rendere, nel contempo, più sicura la prosecuzione delle attività commerciali e produttive sull’intero territorio nazionale, accrescendo il livello di sicurezza degli ambienti di lavoro. Un’opportunità aggiuntiva rispetto alle modalità ordinarie dell’offerta vaccinale che saranno sempre garantite dal piano nazionale di vaccinazione da parte del servizio sanitario nazionale, qualora il lavoratore non intenda aderire ai piani aziendali. Da non dimenticare che il presupposto fondamentale all’adesione dei piani aziendali di vaccinazione rimane l’adesione volontaria. Non esiste, infatti, a norma vigente una obbligatorietà alla vaccinazione, né un apparato sanzionatorio per il lavoratore che decida di non voler procedere all’inoculazione del vaccino. Info dai Consulenti del lavoro.
Rimborso spese dipendenti in smart working
Il criterio per determinare la quota dei costi da rimborsare ai dipendenti in smart working si basa su parametri diretti ad individuare costi risparmiati dalla società che, invece, sono stati sostenuti dal dipendente. È quindi corretto che la quota di spese rimborsate al dipendente possa considerarsi riferibile a consumi sostenuti nell’interesse esclusivo del datore di lavoro e, pertanto, che le somme erogate dalla società per il rimborso non siano imponibili ai fini IRPEF. È quanto ribadisce l’Agenzia delle Entrate con la risposta ad interpello n. 314/21 che nasce dalla richiesta di chiarimenti avanzata da una ditta in merito al trattamento fiscale da applicare in merito alla possibilità di concedere ai propri dipendenti una somma a titolo di rimborso spese per le attività svolte in modalità agile. L’azienda afferma di voler mantenere i dipendenti liberi da spese di qualunque genere e prevede un rimborso forfettario di 0,50 euro per ogni giornata di lavoro agile a copertura di spese generali (energia elettrica per computer, luce, servizi igienici e riscaldamento) parametrati sulla media di costi aziendali per tali aspetti, sostenuti dalla società. L’Agenzia riepiloga nell’interpello la normativa in tema di rimborsi, ricordando che l’art.51 del TUIR prevede che tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro, costituiscono reddito di lavoro dipendente. Con la predetta disposizione viene in sostanza sancito il c.d. principio di onnicomprensività del concetto di reddito di lavoro dipendente fiscalmente rilevante, in base al quale sia gli emolumenti in denaro sia i valori corrispondenti ai beni, ai servizi ed alle opere offerti dal datore di lavoro ai propri dipendenti costituiscono redditi imponibili e, in quanto tali, concorrono alla determinazione del reddito di lavoro dipendente. L’Agenzia fornisce, sul caso specifico previsto dall’istante, parere positivo sulla non imponibilità a carico del datore di lavoro, viste le modalità di calcolo basate su quote di costo aziendale oggettive. Possono essere esclusi da tassazione i rimborsi di spese non sostenute per produrre il reddito, ma anticipate dal dipendente per il datore di lavoro nel suo esclusivo interesse. Un principio che, a specifiche condizioni come nel caso in esame, può applicarsi anche per le spese rimborsate dal datore di lavoro al dipendente in smart working. Tutte le informazioni sono reperibili presso i Consulenti del lavoro.
FERIE DA GODERE ENTRO IL 30 GIUGNO
Entro il prossimo 30 giugno dovranno essere godute dai lavoratori dipendenti le ferie del 2019, entro il 20 agosto dovranno essere pagati dai datori di lavoro i contributi sulle eventuali ferie non godute. La disciplina sulle ferie prevista dal Dlgs n. 66/03, distingue 3 differenti periodi di ferie: un primo periodo di 2 settimane (quota parte del «minimo» legale di 4 settimane), un secondo periodo di 2 settimane (che completa il «minimo legale») ed un terzo periodo, pari all’eccedenza del minimo di 4 settimane stabilito dalla legge, che può essere previsto dal Contratto collettivo. Il datore di lavoro ha l’obbligo di concedere e far godere almeno due settimane di ferie entro l’anno di maturazione. Nell’ipotesi di lavoratore assunto in corso d’anno, va preso in esame l’anno effettivo di maturazione delle ferie, in relazione alla data di assunzione. Le due settimane, dovranno essere fruite in modo ininterrotto, qualora il lavoratore ne faccia espressamente richiesta. Il datore di lavoro è obbligato a soddisfare tale richiesta, seppur compatibilmente con le esigenze dell’attività d’impresa. Il datore di lavoro deve, inoltre, concedere e far godere nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione le restanti due settimane di ferie. Pertanto le ferie del 2019, andranno godute entro il 30 giugno 2021. I datori, in ipotesi di mancato godimento delle ferie nei termini, sono tenuti a sommare alla retribuzione imponibile del mese successivo a quello di scadenza del termine anche l’importo corrispondente al compenso per ferie non godute, sebbene non ancora realmente corrisposto in ragione dell’espresso divieto. La prossima scadenza è il 20 agosto. La contrattazione collettiva può aumentare il periodo di ferie previsto dalla legge, ma non ridurlo, può prevedere la possibilità di ridurre il limite delle 2 settimane, per esigenze eccezionali di servizio o aziendali e può prolungare il tetto massimo di 18 mesi per la fruizione delle settimane di ferie residue. Il termine di fruizione si sospende automaticamente qualora si verifichi una causa di sospensione del rapporto. La monetizzazione delle ferie è ammessa esclusivamente in 3 casi: con riferimento ai periodi maturati fino al 29.4.03, per le ore di ferie stabilite dai CCNL, in aggiunta a quelle legali ed in caso di contratti a tempo determinato di durata inferiore ad un anno. Tutte le info sono reperibili dai Consulenti del lavoro.
Indicazioni per vaccinazione anti-Covid nei luoghi di lavoro
Indicazioni sulla vaccinazione anti-Covid nei luoghi di lavoro e sulla procedura per l’attivazione dei punti vaccinali territoriali destinati alle lavoratrici e ai lavoratori, sono inserite nel documento ad interim elaborato il 12 aprile dall’Inail insieme ai Ministeri del lavoro e della salute, alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e alla struttura di supporto alle attività del commissario straordinario per l’emergenza. Il documento chiarisce requisiti e procedura che le imprese dovranno seguire garantendo efficacia, efficienza e sicurezza. Per assicurare tali requisiti, gli spazi destinati alla somministrazione dei vaccini in azienda, compresi quelli allestiti presso punti vaccinali territoriali approntati dalle associazioni di categoria di riferimento, potranno essere utilizzati per la vaccinazione di lavoratori appartenenti anche ad altre imprese, come quelli che prestano stabilmente servizio presso l’azienda utilizzatrice. Il documento affronta tutti i passaggi legati all’organizzazione dell’attività: requisiti preliminari, presenza di materiali, attrezzature, farmaci, strumenti informatici che permettano la registrazione dell’avvenuta inoculazione del vaccino, secondo le modalità fissate a livello regionale. L’impresa deve programmare anche la somministrazione della seconda dose con registrazione da effettuare subito dopo la somministrazione, durante il periodo di osservazione post-vaccinazione della durata di almeno 15 minuti. Per intervenire immediatamente nel caso di reazioni avverse a rapida insorgenza, che dovranno essere registrate utilizzando le modalità di segnalazione previste dalla Regione o Provincia autonoma di riferimento, è necessario prevedere la presenza di risorse in grado di gestirle. Si raccomanda, in ogni caso, di indirizzare eventuali soggetti a rischio all’azienda sanitaria competente, in modo che possano essere vaccinati in ambiente protetto. La nuova pubblicazione integra anche un elenco della normativa di riferimento e due allegati: il modulo di consenso alla vaccinazione, che dovrà essere accompagnato dalla nota informativa specifica per il tipo di vaccino somministrato al lavoratore, facendo riferimento alla versione più aggiornata resa disponibile dal Ministero della salute; le 2 liste di quesiti per il triage pre vaccinale e l’anamnesi COVID-correlata. Informazioni sono reperibili presso i Consulenti del lavoro.
Alta specializzazione trampolino per il contratto stabile
L’alta specializzazione agevola l’accesso in azienda e a contratti stabili, soprattutto per le donne. Secondo l’indagine realizzata dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro in occasione della XII edizione del Festival del Lavoro e dedicata a “La domanda di professioni in Italia”, nel gruppo delle dieci figure altamente qualificate che, a livello nazionale, hanno fatto registrare i numeri maggiori di unità di lavoro attivate (ULAT), ci sono i laureati e le donne, con una quota che raggiunge rispettivamente il 46% e il 45%, di molto superiore a quella rilevata sulla stima generica delle prime 10 professioni per ingressi in azienda (pari al 12% e al 40%). In più, l’investimento in competenze apre le porte a un contratto stabile nel 47% dei casi mentre chi si colloca nella fascia di bassa specializzazione ottiene un contratto a tempo indeterminato solo 34 volte su 100. I numeri, elaborati su dati del Ministero del Lavoro aggiornati al 2° trimestre 2020, confermano quindi la correlazione tra l’alta qualificazione e i contratti più stabili, con le tutele correlate che nell’ultimo anno sono state attivate in maggiore scioltezza per affrontare le conseguenze della crisi sanitaria. Non solo. Come evidenziato da ultimo nel rapporto della stessa Fondazione Studi “Gli italiani e il lavoro dopo la grande emergenza”, il lavoro più qualificato nell’ultimo anno ha registrato una netta tenuta, in termini occupazionali e retributivi, e si presenta all’appuntamento con la “ripartenza” più rafforzato in termini professionali grazie anche al forte coinvolgimento nella sfida dell’innovazione determinata dall’emergenza sanitaria. Entrando nel dettaglio delle professioni maggiormente richieste nel contesto dell’alta specializzazione, al primo posto ci sono analisti e progettisti software: prevalentemente giovani e laureati conquistano un contratto di lavoro a tempo indeterminato più di 8 volte su 10. «Non c’è dubbio che il grande malato di questo momento sia il lavoro nella sua accezione più ampia – afferma il Presidente della Fondazione Studi, Rosario De Luca– ma la sfida che ci attende per far sì che l’Italia possa riallinearsi ai dati occupazionali medi europei e impedire l’esodo dei giovani verso gli altri Paesi, deve comprendere l’investimento in competenze di qualità e in percorsi formativi che intercettino le esigenze evidenziate dalle imprese nell’ultimo anno. In un’ottica inclusiva, senza distinzione tra lavoro autonomo e dipendente».
Professionisti: snodo essenziale verso la semplificazione e per favorire riforme
“Affrontiamo la crisi economica innescata dalla pandemia consapevoli che i problemi del nostro Paese hanno una radice antica e sono il frutto di numerose riforme mancate: della giustizia, fiscale, previdenziale, della PA e di ampi settori produttivi che hanno appesantito il bilancio di questo anno. In questo contesto, siamo certi che le risorse del PNRR rappresentino per l’Italia un’irripetibile opportunità di imprimere una svolta di crescita e modernizzazione e, insieme, che i professionisti possano rappresentare uno snodo essenziale verso la semplificazione e per le riforme necessarie per la crescita”. Così la Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, Marina Calderone, a margine della seconda giornata del Festival del Lavoro 2021. Numerosi i rappresentanti di Governo, politica e parti sociali ospitati nella XII edizione online che ha fatto registrare un record di ascolti. Durante la manifestazione, il Consiglio Nazionale ha presentato alcune proposte per la ripartenza: dalla necessità di regolare la disciplina dei contratti di lavoro con una gestione più flessibile, garantendo al contempo la tutela dei diritti in gioco, al rafforzamento delle politiche attive per la formazione, riqualificazione e ricollocazione dei lavoratori in vista dello sblocco dei licenziamenti. E ancora: riordino degli ammortizzatori sociali, maggiori tutele per il lavoro autonomo, così da superare il divario con il lavoro dipendente acuitosi con la pandemia; riforma pensionistica, attesa da anni, con meccanismi di ricambio generazionale, da affiancare a quella del sistema tributario e, infine, semplificazione e riorganizzazione della PA. Intervento, quest’ultimo, che per i Consulenti del lavoro deve essere posto al centro di un serio processo di ammodernamento delle strutture organizzative e di snellimento dei procedimenti decisionali, autorizzatori e di controllo. L’attuale impianto normativo risulta oggi troppo complesso e farraginoso per sostenere il rilancio del sistema economico; ancor meno adeguato è il sistema delle procedure autorizzatorie di competenza della PA che rappresenta uno dei maggiori ostacoli al libero svolgimento di attività economiche e all’avvio in tempi brevi delle opere infrastrutturali, finanziate dal Recovery Plan. Positiva, per i Consulenti del lavoro la proposta avanzata al Festival dal Ministro della PA, Renato Brunetta, di far nascere un portale di reclutamento – per posizioni di carattere tecnico – che coinvolgerebbe gli Ordini professionali nella preselezione dei curriculum e dei percorsi di specializzazione degli iscritti da mettere a disposizione dei vari enti pubblici. “Si tratta di interagire e mettere in campo alte professionalità per un progetto importante per il Paese e per migliorare l’efficienza nella PA con cui i professionisti si interfacciano quotidianamente”, ha concluso la Presidente del CNO, Marina Calderone.
Un milione di occupati convinto di perdere il lavoro nei prossimi mesi
Stanchezza e preoccupazione per le incognite del prossimo futuro: questo il sentimento prevalente nei lavoratori italiani ad aprile 2021, intervistati da Fondazione Studi Consulenti del Lavoro per il Rapporto “Gli italiani e il lavoro dopo la grande emergenza”, presentato al Festival del Lavoro 2021. Più della metà (56,7%) indica l’aumento dello stress e della fatica come il fattore che più ha caratterizzato la loro vita professionale nell’ultimo anno. Solo il 14,3%, infatti, si dichiara pronto a ripartire. A metà mese ci sono ancora 1,8 milione di occupati che non lavorano, perché interessati da sospensioni di attività o cassa integrazione e circa 1 milione tra dipendenti e autonomi è convinto di perdere il lavoro nei prossimi mesi (rispettivamente 620mila dipendenti e 400mila autonomi circa). A questo numero, si aggiungono 2,6 milioni di dipendenti che vedono a forte rischio il proprio futuro lavorativo sull’onda dello sblocco dei licenziamenti. Così, in questo scenario, più che investire sul proprio futuro professionale, anche attraverso nuovi obiettivi di formazione, la maggioranza si preoccupa di salvaguardare il proprio lavoro (32,4%) e di recuperare una dimensione di vita e di lavoro “più sostenibile” rispetto all’anno appena passato (28,8%). Un’Italia ancora in mezzo al guado, quindi, che deve smaltire gli effetti della crisi (7,5 milioni di lavoratori segnalano riduzione del reddito) ma che al tempo stesso ha visto rivoluzionare modalità e contenuti del lavoro: cambiano i modelli organizzativi, cresce il valore riconosciuto alle competenze. Anche come antidoto ad un mercato dove sono aumentate le disuguaglianze: tra lavoratori protetti e non, tra profili ad alta e bassa qualificazione. Sono questi ultimi ad avvertire più forte il rischio di marginalizzazione, in un sistema in cui solo il 53,6% pensa di avere un profilo appetibile sul mercato – perché fortemente innovativo (27,7%) o specialistico (25,9%) – e chi (il 46% degli occupati) considera le proprie competenze inadeguate in quanto troppo generiche (24,1%) o obsolete (22,2%). Questa ammissione di debolezza preannuncia il rischio di autoesclusione dal mercato del lavoro e il forte disagio dei profili meno qualificati, i più profondamente colpiti dalle restrizioni e dalla contrazione del reddito.
«È ora di investire in modo strutturale sulle politiche attive del lavoro per riqualificare le competenze di tutti quei lavoratori che rischiano di essere espulsi dal mercato con la fine del blocco dei licenziamenti – commenta Rosario De Luca, Presidente di Fondazione Studi Consulenti del Lavoro.
“Competenze e strategie per la ripartenza” al Festival del Lavoro
Attenzione all’attualità, provando a mettere a fuoco in che modo proiettare il mercato del lavoro italiano verso un orizzonte più dinamico e inclusivo post pandemia: con il titolo “Competenze e strategie per la ripartenza” prenderà il via il 28 e 29 aprile, la dodicesima edizione del Festival del Lavoro che anche quest’anno, in ottemperanza alle disposizioni per far fronte all’emergenza, si svolgerà in modalità online sul sito www.festivaldellavoro.it. Un Festival che arriva in un momento storico importante, che impone necessariamente un confronto su un mondo del lavoro profondamente mutato e sulle conseguenze della pandemia sulla tenuta economica del Paese. Cinque le parole chiave dell’evento 2021: competenze, formazione, tecnologia, accelerazione, trasformazione. In particolare, quello delle competenze sarà un tema sempre più centrale in economie come quella italiana che da sempre sconta un deficit su professionalità tecniche e strategiche, oltre che nei processi di innovazione delle piccole e medie imprese. La pandemia, però, ha dato anche un forte sprint alle tecnologie. Un’accelerazione che ha toccato competenze verticali e trasversali dei singoli e ha chiesto alle aziende di ripensare ai propri modelli di organizzazione del lavoro. Come fatto, ad esempio, con lo smart working. Con il contributo di numerose personalità della politica, dell’economia, del mondo accademico e professionale si parlerà di tali tematiche e non solo. Al centro della riflessione anche gli scenari futuri dopo lo sblocco dei licenziamenti, l’esaurimento di sussidi e degli ammortizzatori; l’impatto delle nuove tecnologie sulle attività professionali; la diffusione della legalità nel mondo del lavoro oltre ad un’analisi della forte disparità di tutele – tuttora esistente – tra lavoro autonomo e dipendente. A non mancare saranno i momenti di formazione, su tematiche di attualità e di stretto interesse per Consulenti del Lavoro e non solo, che si svolgeranno nel pomeriggio della due giorni, in modalità webinar, all’interno dei sette spazi virtuali in programma: dalla storica aula del diritto, che nelle precedenti edizioni ha riscosso grande successo, a quella delle politiche attive; passando per l’aula della previdenza, delle opportunità, degli strumenti per competere, dell’orientamento al lavoro e delle nuove competenze. Numerosi gli ospiti che hanno già confermato la loro partecipazione. Tra questi, solo per citarne alcuni: Renato Brunetta, Ministro per la Pubblica Amministrazione; Giuseppe Conte, già Presidente del Consiglio dei Ministri; Claudio Durigon, Sottosegretario MEF; Carlo Cottarelli, economista; Luigi Di Maio, Ministro degli Esteri; Maria Stella Gelmini, Ministro per gli affari regionali e le autonomie; Gugliemo Loy, Presidente Civ INPS; Giorgia Meloni, Presidente Fratelli d’Italia; Tiziana Nisini, Sottosegretario al Ministero del Lavoro; Stefano Patuanelli, Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali; Ettore Rosato, Presidente Italia Viva; Matteo Salvini, Segretario nazionale Lega; Luigi Sbarra, Segretario Generale CISL; Pierpaolo Sileri, Sottosegretario Ministero della Salute; Francesco Paolo Sisto, Sottosegretario Ministero della Giustizia; Erika Stefani, Ministro per la disabilità; Tiziano Treu, Presidente CNEL; Pasquale Tridico, Presidente INPS. Tutte le informazioni sono online su www.festivaldellavoro.it, che da quest’anno ha messo a disposizione una nuova e inedita area del sito dedicato ai digital game.
Obbligo vaccinale del personale sanitario, una norma timida
Un “obbligo” senza sanzioni per chi non vi adempie, squilibrato nelle responsabilità assegnate al datore di lavoro: si potrebbe definire così, secondo la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, l’articolo 4 del decreto legge n.44/2021 che, con una “norma timida” ha introdotto l’obbligo vaccinale del personale sanitario per prevenire contagi da Covid-19. Nell’approfondimento dell’8 aprile, Fondazione Studi analizza nel dettaglio le disposizioni contenute nel provvedimento: dall’iter per l’accertamento dell’obbligo vaccinale al diritto all’esenzione, fino alla distribuzione di oneri e responsabilità, con un focus sul ruolo del datore di lavoro cui spetta, in ogni caso, la salvaguardia dell’ambiente di lavoro, la protezione dei pazienti e l’operatività dei servizi sanitari.
Appare confermata l’impossibilità, nonostante l’obbligo vaccinale, di procedere con il licenziamento di chi non possa o non voglia sottoporsi al vaccino. Il decreto impone l’obbligo, ma poi prescrive puntualmente i provvedimenti alternativi che il datore di lavoro deve adottare nel caso in cui il lavoratore non possa o non voglia vaccinarsi: esclusa, quindi, qualsiasi automaticità tra mancata vaccinazione e licenziamento. Certo non possono essere considerati provvedimenti disciplinari l’adibire il lavoratore che rifiuti il vaccino ad altre mansioni o, in subordine, la sospensione senza retribuzione.
Proprio sul fronte delle conseguenze della mancata vaccinazione la norma presta il fianco a qualche critica. Infatti, chi non può vaccinarsi perché patisce condizioni cliniche che impediscono l’inoculazione del vaccino, si ritrova in situazioni non dissimili da chi oppone il rifiuto e, addirittura, da chi non risponde neppure all’invito per il primo censimento e successiva profilassi. In entrambi i casi, l’onere ricade sul datore di lavoro, che deve creare le condizioni affinché la prestazione lavorativa del soggetto non vaccinato avvenga evitando contatti interpersonali e anche i rischi di diffusione del contagio da SARS-CoV-2. «Il datore di lavoro si ritrova dunque a dover far fronte a una serie di valutazioni complesse, con il solo ausilio del medico competente, nella ponderazione tra i diversi interessi in gioco: la salute dei lavoratori; la salute dei pazienti; la tutela del lavoro e della professionalità dei suoi dipendenti – afferma Rosario De Luca, Presidente di Fondazione Studi Consulenti del Lavoro – Tutto ciò senza la protezione dello “scudo” penale più volte invocato, che è stato invece previsto da questo decreto ma soltanto per i somministratori del vaccino».
Malattia del professionista, un vulnus da sanare
L’emergenza epidemiologica da Covid-19 ha evidenziato tutte le criticità del sistema di protezione sociale del nostro Paese e le differenti tutele esistenti tra le diverse tipologie di lavoratori, soprattutto gli autonomi, sprovvisti di garanzie di fronte all’insorgere di malattie che gli impediscano di portare a termine gli adempimenti. Per porre fine a queste disuguaglianze sociali è necessario riconoscere anche a partite Iva e professionisti affetti da Coronavirus o posti in quarantena a scopo cautelare il diritto alla tutela per malattia e infortunio, nonché la possibilità di astenersi dal lavoro senza incombere in responsabilità professionali per il mancato assolvimento degli obblighi verso la Pubblica Amministrazione. A ribadirlo il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro nel corso dell’audizione dei giorni scorsi, presso la Commissione Lavoro della Camera dei Deputati in cui ha presentato alcune proposte con cui rispondere alle nuove disuguaglianze prodotte dalla pandemia nel mondo del lavoro. Con l’occasione la Categoria ha ricordato come nell’ultimo anno tantissimi lavoratori autonomi abbiano continuato a lavorare anche durante le restrizioni, con il rischio di contrarre l’infezione, in ragione dell’importanza e della pubblica utilità delle loro attività professionali e dell’assenza di adeguate tutele nei loro confronti. Per poi rimarcare la necessità di concretizzare i provvedimenti esistenti in materia in Parlamento, come l’emendamento per la conversione in legge del decreto “Sostegni” di cui è prima firmataria la Presidente della Commissione Lavoro del Senato, Susy Matrisciano, che esclude il professionista dalla responsabilità professionale e da quella per inadempimento, anche da parte del cliente, in caso di ricovero ospedaliero, o quarantena che impediscano il rispetto dei termini considerati perentori o decadenziali. “La Categoria non si è mai tirata indietro durante la pandemia – ha sostenuto la Presidente dei Consulenti del lavoro, Marina Calderone – mettendo in sicurezza aziende e lavoro, ma la complessità di questo periodo richiede uno snellimento delle procedure per consentire a tutti i professionisti che svolgono il proprio lavoro con grandi responsabilità, di ammalarsi senza creare danni ai loro assistiti”. L’auspicio è che la conversione in legge del decreto possa porre fine ad eventuali sanzioni per un’assenza dal lavoro dovuta a situazioni di fragilità.
Bonus bebé 2021, al via le domande
Già possibile richiedere l’assegno per nascite, adozioni o affidamenti preadottivi avvenuti entro l’anno. Con il messaggio n. 918/21 l’Inps comunica il rilascio della procedura e la possibilità, già dal 3 marzo 2021, di presentare domanda per l’assegno di natalità (cosiddetto bonus bebè) per nascite, adozioni o affidamenti preadottivi nell’arco temporale dal 1° gennaio 2021 al 31 dicembre 2021. Il bonus con domanda presentata entro i 90 giorni dall’evento nascita/adozione/affidamento, si ricorda nel messaggio dell’Istituto, è riconosciuto a decorrere dal giorno di ingresso nel nucleo familiare del minorenne e per la durata massima di 12 mensilità. In via transitoria, al fine di evitare un eventuale pregiudizio del diritto dei potenziali beneficiari, per le nascite/adozioni/affidamenti già avvenuti a partire dal 1° gennaio 2021, il termine di 90 giorni per la presentazione della domanda decorre dalla data di pubblicazione del messaggio Inps (dal 3.3.2021). In ipotesi di domanda presentata tardivamente, l’assegno di natalità, decorre dal mese di presentazione della domanda e comprende le sole mensilità residue fino al compimento di un anno dall’evento (nascita, adozione o affidamento). Tenuto coto che la durata del beneficio arriva fino ad un anno del bambino (o ingresso in famiglia), è ancora possibile presentare domanda per gli eventi avvenuti nel 2020. La prestazione viene calcolata in maniera progressiva, in base alle nuove soglie di ISEE. Nel caso domanda di assegno presentata senza un ISEE valido, se sussistono tutti gli altri requisiti, la prestazione viene erogata nella misura minima di 80 euro al mese, o di 96 euro al mese in caso di figlio successivo al primo. L’Istituto in questi casi invia un’apposita comunicazione al richiedente nella quale chiarisce che il riconoscimento dell’importo minimo dell’assegno è legato appunto alla mancanza di un ISEE valido. E’ però possibile regolarizzare la situazione, entro il termine di validità della DSU, in una delle modalità indicate dall’Istituto: presentando idonea documentazione; presentando una nuova DSU, comprensiva delle informazioni in precedenza omesse o diversamente esposte. In ipotesi di presentazione di ISEE in data successiva alla domanda di assegno di natalità, l’importo dell’assegno verrà eventualmente integrato. Tutte le info sono reperibili presso i Consulenti del lavoro.
Sostegni alle imprese
E’ in vigore dal 23 marzo il decreto che prevede “Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da Covid-19”. Viene introdotto un contributo a fondo perduto in favore dei soggetti titolari di partita Iva, residenti o stabiliti nel territorio nazionale, che svolgono attività d’impresa, arte o professione o producono reddito agrario purché con redditi non superiori a 10 milioni di euro e con un calo di almeno il 30% del fatturato medio mensile e dei corrispettivi 2020 sul 2019, applicando una percentuale a seconda dell’entità dei ricavi e compensi percepiti. Sul fronte fiscale viene disposta la proroga al 30 aprile della sospensione relativa all’attività dell’agente della riscossione e viene prevista la cancellazione automatica dei debiti di importo residuo fino a 5.000 euro risultanti da singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 2000 al 2010 per chi abbia percepito nell’anno d’imposta 2019 un reddito imponibile fino a 30.000 euro. Viene concesso più tempo per le rate della rottamazione ter e del saldo e stralcio scadute nel 2020 e viene introdotto, inoltre, un sistema di definizione agevolata delle somme dovute a seguito del controllo automatizzato delle dichiarazioni relative al periodo 2017 e 2018. Sul fronte lavoro, in materia di ammortizzatori sociali, il decreto estende la possibilità di richiedere: fino a 13 settimane, da utilizzare in CIGO nel periodo compreso tra il 1° aprile e il 30 giugno 2021, senza il versamento del contributo addizionale; fino a 28 settimane di assegno ordinario e CIG in deroga, da utilizzare nel periodo compreso tra il 1° aprile e il 31 dicembre 2021. Si rinnova anche la CISOA con altri 120 giorni fruibili dal 1° aprile al 31 dicembre 2021. Confermato il blocco generalizzato dei licenziamenti individuali e collettivi per motivi economici, ma con una novità legata alla differenziazione dell’arco temporale della operatività del divieto: fino al 30 giugno per tutti e indipendentemente dal numero di dipendenti; dal 1° luglio al 31 ottobre permane solo per le piccole aziende e imprese del terziario che utilizzano le nuove 28 settimane di Cig Covid-19 e per il settore agricolo. E ancora, viene riconosciuta un’indennità di 2.400 euro per lavoratori atipici, spettacolo, stagionali e nuovi contributi variabili da 1.200 a 3.600 euro per i lavoratori sportivi. Info dai Consulenti del lavoro.
Vaccini ai dipendenti, le Faq del Garante Privacy
Il datore di lavoro non può chiedere ai propri dipendenti di fornire informazioni sul proprio stato vaccinale o copia di documenti che comprovino l‘avvenuta vaccinazione anti Covid-19. Questo è solo uno dei chiarimenti del Garante della Privacy intervenuto, sul tema del trattamento di dati relativi alla vaccinazione anti Covid-19 nel contesto lavorativo, con tre nuove Faq pubblicate il 17 febbraio sul proprio sito internet. Solo il medico competente, prosegue il Garante, può trattare i dati sanitari dei lavoratori e, di conseguenza, le informazioni relative alla vaccinazione nell’ambito della sorveglianza sanitaria e in sede di verifica dell’idoneità alla mansione specifica, ma non deve comunicare al datore di lavoro, neanche a fronte del consenso del lavoratore, i nominativi dei dipendenti vaccinati. Il datore di lavoro può, invece, acquisire, in base al quadro normativo vigente, i soli giudizi di idoneità alla mansione specifica e le eventuali prescrizioni e/o limitazioni in essi riportati. Il datore, inoltre, non può considerare lecito il trattamento dei dati relativi alla vaccinazione sulla base del consenso dei dipendenti, non potendo il consenso costituire in tal caso una valida condizione di liceità in ragione dello squilibrio del rapporto tra titolare e interessato nel contesto lavorativo. In merito alla richiesta di vaccinazione per accedere ai luoghi di lavoro o svolgere determinate mansioni il Garante specifica che non c’è ancora un intervento del legislatore nazionale che, nel quadro della situazione epidemiologica in atto e sulla base delle evidenze scientifiche, valuti se porre la vaccinazione anti Covid-19 come requisito per lo svolgimento di determinate professioni, attività lavorative e mansioni, quindi, ad oggi, nei casi di esposizione diretta ad “agenti biologici” durante il lavoro, come nel contesto sanitario che comporta livelli di rischio elevati per i lavoratori e per i pazienti, trovano applicazione le “misure speciali di protezione” previste per taluni ambienti lavorativi (art. 279 Titolo X del d.lgs. n. 81/08). Solo il medico competente, nella sua funzione di raccordo tra il sistema sanitario nazionale/locale e lo specifico contesto lavorativo, può trattare i dati personali relativi alla vaccinazione dei dipendenti e, se del caso, tenerne conto in sede di valutazione dell’idoneità alla mansione specifica. Tutte le informazioni sono reperibili presso i Consulenti del lavoro.
In Italia il Covid colpisce l’occupazione femminile più che in altri Paesi
Tra aprile e settembre 2020 l’Italia ha perso 402 mila occupate rispetto all’anno precedente, registrando una perdita doppia a quella europea. Rispetto ad una riduzione del 2,1% in Europa, infatti, nel nostro Paese si registra una contrazione del 4,1% delle lavoratrici tra i 15 e 64 anni. Non solo. In Italia il differenziale di genere nell’impatto della crisi risulta essere più elevato, con un gap di ben 1,7 punti percentuali tra uomini e donne. Tale dato non ha pari in Europa, dove in media uomini e donne registrano la stessa contrazione occupazionale (-2,1%). È quanto emerge dal report “Occupazione femminile: si allarga il divario con l’Europa”, realizzato dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro in occasione della giornata internazionale dei diritti della donna. Dall’analisi emerge che su 100 posti di lavoro persi in Europa quelli femminili sono 46, mentre in Italia sono 56. L’effetto fortemente divaricante della crisi pandemica richiede misure di intervento straordinarie per colmare un deficit strutturale, rimasto costante nel tempo ma che rischia di aggravarsi nei prossimi mesi. Ad essere state fortemente colpite dalla crisi anche le lavoratici autonome: tra aprile e settembre 2020 l’occupazione indipendente femminile è diminuita rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente di 103 mila unità (-6,4%), praticamente il doppio di quella maschile. Un calo non registrato in altri Paesi comunitari (in media le autonome sono diminuite dell’1,6% e gli uomini dell’1,9%). Dal report e dal confronto europeo emerge anche un altro aspetto importante: la flessibilità del lavoro, sia contrattuale che oraria, nel nostro Paese ha un ruolo più penalizzante che funzionale alle esigenze delle lavoratrici. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di un’alternativa all’impossibilità di trovare un lavoro stabile. “È fondamentale, specie in questo particolare momento storico, introdurre misure per rilanciare il livello di partecipazione delle donne e il rafforzamento delle posizioni lavorative ricoperte” spiega la Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, Marina Calderone. “Per farlo sarà necessario, da un lato, potenziare l’offerta e l’accessibilità ai servizi che favoriscono la conciliazione vita-lavoro e, dall’altro, favorire l’innalzamento dei livelli di istruzione femminile e di conseguenza le loro competenze al fine di potenziare la loro capacità contrattuale”, conclude.
Consulenti del Lavoro incontrano il Ministro Orlando
Accelerare sulle politiche attive, semplificare regole e istituti del lavoro con nuovi modelli organizzativi, ridisegnare l’architettura attuale degli ammortizzatori sociali e riformare concretamente le pensioni: è l’agenda per la crescita del Paese e per la ripartenza del mercato del lavoro suggerita dai Consulenti del Lavoro in un documento presentato oggi dalla Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine, Marina Calderone, nell’incontro con il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Andrea Orlando. In linea con le intenzioni del Ministro di rilanciare le politiche attive per aiutare i disoccupati a trovare lavoro, utilizzando già le risorse del React-Eu – uno dei programmi europei inclusi nel Recovery – i Consulenti del Lavoro ritengono necessario sperimentare una nuova metodologia di valorizzazione della rete dei servizi impegnati nell’erogazione di tali misure, oltre che nuove forme di integrazione tra soggetti pubblici e privati, che possano fornire competenze e adeguato supporto a imprese e lavoratori nell’ambito dei servizi di accompagnamento e riqualificazione al lavoro. Diverse, per citarne alcune, le direttrici possibili da seguire: rifinanziare l’AdR, rendendolo obbligatorio e differenziato in base ai beneficiari e diversificando la remunerazione per gli operatori; intervenire sul RdC ridisegnando scaglioni e meccanismo di funzionamento; ripensare i sistemi di accreditamento dei soggetti erogatori; concedere importanti incentivi ai datori lavoro che assumono; realizzare, infine, lo “sportello dedicato al lavoro autonomo”. L’esperienza nata dalla crisi emergenziale, inoltre, ha reso urgente assicurare una gestione più flessibile dei contratti, innanzitutto con una “operazione culturale” sullo smart working, e riformare gli ammortizzatori sociali introducendo un ammortizzatore sociale unico che semplifichi il volume di adempimenti burocratici con cui hanno dovuto fare i conti Inps, Consulenti del Lavoro, imprese e lavoratori nell’ultimo anno. “Il venir meno del divieto di licenziamento, in assenza di altre misure tampone, convoglierà sulla prima metà dell’anno tutti gli effetti della crisi, specie nelle PMI”, ha spiegato la Presidente Marina Calderone. “Queste difficoltà richiedono un intervento tempestivo che, da un lato, supporti i soggetti in difficoltà e, dall’altro, definisca un sistema funzionale che, partendo dalla formazione, accresca l’occupabilità delle imprese”.
Sgravio assunzioni donne: prime indicazioni Inps
Con la circolare n.32 del 22 febbraio 2021 l’Inpsfornisce le prime indicazioni operative per l’esonero relativo alle assunzioni di donne lavoratrici, inserito nella legge di Bilancio, applicabile in misura intera in via sperimentale per il biennio 2021-2022 nel limite massimo di importo pari a 6.000 euro annui. L’Istituto chiarisce che l’esonero si rivolge ai datori di lavoro privati, anche non imprenditori, compresi quelli del settore agricolo, ed escluse le Pubbliche Amministrazioni, in regola con il Durc e con gli altri obblighi di legge e tutela delle condizioni di lavoro. Inoltre, spetta per le assunzioni di donne lavoratici svantaggiate: donne con almeno 50 anni di età disoccupate da oltre 12 mesi; donne di qualsiasi età residenti in regioni ammissibili ai finanziamenti nell’ambito dei fondi strutturali dell’Unione europea prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi; donne di qualsiasi età, ovunque residenti e “prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno 24 mesi. Pertanto, ai fini del riconoscimento dell’incentivo, è richiesto uno stato di disoccupazione di lunga durata (oltre 12 mesi) o il rispetto del requisito di “priva di impiego” unitamente ad altre condizioni. Ad essere incentivate le assunzioni a tempo determinato per una durata massima di fruizione dell’incentivo di 12 mesi, indeterminato per una durata di 18 mesi e le trasformazioni a tempo indeterminato di un precedente rapporto agevolato per complessivi 18 mesi a decorrere dalla data di assunzione. Inoltre, in caso di rapporti di lavoro part-time, lavoro subordinato instaurato in attuazione del vincolo associativo stretto con una cooperativa di lavoro; rapporti di lavoro a scopo di somministrazione. Non spetta, invece, per i rapporti di apprendistato e di lavoro domestico. Ai fini della cumulabilità dell’incentivo con altri, l’Inps chiarisce che tale sgravio è cumulabile, nei limiti della contribuzione previdenziale dovuta e a condizione che, per gli altri esoneri di cui si intenda fruire, non sia espressamente previsto un divieto di cumulo. L’esonero contributivo può essere riconosciuto se si determina un incremento occupazionale netto – calcolato in Unità di Lavoro Annuo (U.L.A.) – ed è subordinato all’autorizzazione della Commissione Europea, in seguito alla quale saranno emanate le istruzioni applicative per la fruizione. Le informazioni sono reperibili presso i Consulenti del lavoro.
Esoneri contributivi, ancora ferme le procedure
Ancora fermi gli esoneri per i datori che non intendono fruire dalla CIG. E’, infatti, incompleta l’attesa circolare Inps che avrebbe dovuto consentire il via libera all’esonero dal versamento dei contributi previdenziali per le aziende che non richiedono trattamenti di integrazione salariale. Si tratta della previsione dell’art.12 del DL n.137/20 (in vigore già dal 9.11.20) conv. in legge n.176/20 che ha l’obiettivo di incentivare i datori a non ricorrere agli ammortizzatori sociali (come già aveva fatto il precedente decreto). L’Inps con la recente circolare n.24/21 interviene sulla materia delineando problematiche e requisiti dei beneficiari, ma evidenziando che l’applicazione del beneficio è subordinata all’autorizzazione della Commissione europea. Quindi, rimanda ad apposito messaggio (che verrà pubblicato all’esito dell’autorizzazione della Commissione europea) le istruzioni per la fruizione della misura di legge in oggetto, con particolare riguardo alle modalità di compilazione delle dichiarazioni contributive da parte dei datori di lavoro. Innanzitutto ricordiamo che, ai fini del riconoscimento dell’esonero, i datori di lavoro devono aver fruito dei trattamenti di integrazione salariale con causale COVID-19 nel mese di giugno 2020. L’ammontare dell’esonero è, infatti, pari alla contribuzione datoriale non versata per il numero delle ore di integrazione salariale fruite in tale mese, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL. L’importo dell’esonero così calcolato dovrà essere riparametrato e applicato su base mensile per un periodo massimo di 4 settimane e non potrà superare, per ogni singolo mese di fruizione dell’agevolazione, l’ammontare dei contributi dovuti. Tali misure, quindi, si pongono tra di loro in regime di alternatività, quantomeno in riferimento alla medesima unità produttiva. Pertanto, l’accesso ai nuovi trattamenti di integrazione salariale comporta l’impossibilità, nella medesima unità produttiva, di accedere all’esonero contributivo disciplinato dal DL n.137/20. Le citate misure di alternatività dell’esonero rispetto ai trattamenti di integrazione salariale implicano che, qualora il datore di lavoro decida di accedere all’esonero previsto da questa norma, non potrà avvalersi, nella medesima unità produttiva, fino al 31 gennaio 2021, di eventuali ulteriori trattamenti di integrazione salariale collegati all’emergenza da COVID-19. Tutte le informazioni sono reperibili presso i Consulenti del lavoro.
L’Italia riparte dal lavoro: emergenze e criticità da affrontare
Tra le tante priorità che il Governo Draghi dovrà immediatamente affrontare, il lavoro avrà certamente una corsia preferenziale. L’attuale situazione occupazionale presenta delle emergenze assolute, sottolineate ancora una volta dall’ ISTAT. Per questo sono necessari degli interventi di sistema, utili non solo ad avere risultati-tampone immediati, ma anche ad essere fondamenta per il rilancio futuro del Paese. Per pianificare gli interventi necessari è quanto mai opportuno partire dalle criticità emerse nella gestione di questo lungo periodo di pandemia, intervenendo con riforme di sistema anche tramite i fondi che saranno assegnati al Recovery Plan”, commenta Marina Calderone, presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro. Divieto di licenziamento:il problema non è quando interrompere il divieto, ma come gestirne le conseguenze e solo la ripartenza immediata dell’economia, permetterebbe alle aziende oggi in difficoltà assoluta di poter tornare ad assumere. Ma non si può prescindere da una profonda rivisitazione del sistema delle politiche attive del lavoro, che in questi anni ha mostrato tutti i limiti strutturali di cui soffre. Vanno, infatti, riorganizzati i Servizi per il Lavoro, in modo da renderli funzionali all’attuale situazione. Ed è diventato indispensabile virare sulla telematica al servizio della diffusione territoriale dei punti di contatto tra cittadini in cerca di occupazione e le agenzie per il lavoro. Modalità, questa, che non potrà che far decollare anche l’altra parte delle politiche attive, quello cioè legata alla formazione e riqualificazione del lavoratore che ha perso occupazione. Investimenti su progetti già pronti: per far ripartire in tempi rapidissimi l’economia una buona iniziativa sarebbe quella di immettere subito nell’economia reale importanti somme, provenienti dal Recovery Plan. In sostanza, bisognerebbe evitare che le procedure burocratiche dilatino i tempi dell’effettivo utilizzo dei fondi. Non sono, infatti, brevi i tempi per avviare l’iter per l’approvazione e il finanziamento di nuovi lavori, condizionati come sono dai tanti adempimenti necessari. Riforma degli ammortizzatori sociali: i Consulenti del lavoro rilanciano ancora una volta l’idea dell’Ammortizzatore Sociale Unico, perché unica è la causale per fenomeni che coinvolgono in modo diffuso e involontario un gran numero di aziende e lavoratori, appartenenti ai settori più disparati. Documento completo su www.consulentidellavoro.it
Sostegno per l’impresa femminile
Presso il Ministero dello Sviluppo economico viene istituito il “Fondo a sostegno dell’impresa femminile”, con una dotazione finanziaria di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021 e 2022